Violenza maschile sulle donne e il Fatto Quotidiano

Il 4 luglio, dopo la lunga strage che aveva colpito tante donne per mano di ex mariti, fidanzati, partner, Il Fatto Quotidiano, edizione cartacea, per quello che ne sappiamo, non ha pubblicato statistiche, dichiarazioni, proposte di leggi a tutela delle donne, analisi sul femminicidio che è una emergenza sempre maggiore in Italia. No, non ci sembra l’abbia fatto. Ci risulta invece che nella mail box si sia dato spazio ad una lettera – che non troviamo online (chi è abbonat@ però può leggerlo) – intitolata “La disperazione dell’amore malato” firmata da un membro di una associazione che parrebbe occuparsi di affido condiviso.

Egli, ovvero la persona che ha firmato la lettera, “sente l’obbligo” di scrivere per parlare del sentimento ossessivo che porta a queste infelici conclusioni non mancando di addebitarlo anche a donne che “diventano ossessionate, perdono il controllo e l’intelletto”. Continuando su questa scia di spostamenti dall’asse centrale del discorso si finisce per paragonare un rapporto amoroso ad una relazione padre-figlia e madre-figlio, motivo per cui, secondo lo scrivente, sarebbe così complesso il distacco e urgente l’attesa e il perseguimento di una, diciamo così, letale riconciliazione (“ed accade…il peggio”). Ecco perchè – sintetizziamo – sarebbe necessario fare in modo che i figli non siano separati dai genitori etc etc etc.

Si tratta dunque di una opinione esistente, legittima per quanto non condivisibile. Non da noi. Ci sembra infatti non vi si faccia cenno, se non in un brevissimo passaggio introduttivo, al fatto che sono soprattutto le donne a morire di quei rapporti morbosi – come dimostrato da cronache recenti e meno recenti – per mano di uomini che ignobilmente decidono di togliere la vita a donne che muoiono in italia a centinaia. Ci lascia dunque perplesse una lettera che prende spunto da una lunga catena di femminicidi e poi si produce in una analisi che sembrerebbe dire che le persone ossessive e morbose non siano state preparate da piccole ad affrontare il distacco (almeno questa ci sembra l’interpretazione del discorso). Ci lascia perplesse perchè non comprendiamo in quale parte della lettera si parli delle vittime, le donne e i bambini (vittime perchè assistono alle violenze o per violenza diretta), rispetto ai quali l’unica prevenzione possibile resta invece il “distacco” obbligato, forzato, tutelato giacchè le donne vittime di violenza devono essere protette e allontanate immediatamente dall’uomo che può ucciderle e generalmente le uccide così come i bambini vittime di violenza, diretta o indiretta, devono essere immediatamente allontanati dal genitore violento. Sono questi i casi in cui il “distacco” va dunque assolutamente perseguito a tutela dei soggetti a rischio.

Per quanto comunque nella lettera sia apprezzabile l’attenzione nei confronti dei bambini, in questo caso si parla di uomini adulti – che non accettano il distacco – e che esigono, come è possibile notare dalle numerosissime denunce di stalking fatte da donne perseguitate dagli ex, di poter accedere non certo alla mamma ma ad una persona, in realtà un oggetto, che ritengono di loro proprietà. Il possesso, l’egoismo, non sono caratteristiche che una società civile e moderna dovrebbe mai agevolare, così come non si può trasferire sulle donne la responsabilità della cura di uomini mai cresciuti.

L’altro ieri una sorella, a proposito degli articoli di massimo fini che sovente il giornale ospita, chiedeva come mai il Fatto Quotidiano non si occupa mai di violenza maschile contro le donne. Quella che abbiamo letto sopra potrebbe essere una risposta. Diciamo che se ne occupa ma da un altro punto di vista.

Anche per questo Il Fatto Quotidiano non è un giornale che ci rappresenta.

Nb: solo oggi sappiamo dalla cassazione che dopo due denunce per stalking le vittime, donne e bambini, devono immediatamente essere protette. E giusto per gradire, oltre la infinita serie di atti di violenza maschile registrati nella giornata di oggi merita attenzione il fatto che una donna, accoltellata alla schiena ben dieci volte dal suo compagno, pare essere sopravvissuta, mentre un’altra invece proprio non ce l’ha fatta. Come giustamente fa notare Meltiparaben, si tratta di una emergenza. Della quale Il Fatto Quotidiano non parla.
dal blog :femminismo a sud

IDV Donne: Appuntamento a Firenze domenica 11 luglio

Invito esteso a tutte le donne idv del centro, nord, sud
vi aspettiamo in Via Cavour 108 ( sede IDV)!

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o scrivici
idv.donne@yahoo.it

Francia: giro di vite contro violenza domestica. E da noi , quando?.

Francia: giro di vite contro violenza domestica.La Francia affronta l’emergenza violenze domestiche, con 156 donne morte nel solo 2008 e il 20% degli omicidi totali d’oltralpe commessi fra le mura domestiche.

Giro di vite in Francia contro la piaga della violenza domestica. Il Parlamento di Parigi ha dato oggi il definitivo via libera a un arsenale di misure per rafforzare la lotta ai partner o ai mariti violenti e che per la prima volta introduce il reato di molestie psicologiche all’interno della coppia.

Tra gli altri provvedimenti adottati oggi in modo unanime dall’insieme delle forze politiche dell’Assemblea nazionale, c’è anche un'”ordinanza di protezione” per tutte le vittime di maltrattamenti e soprusi nonché la sperimentazione per un periodo di tre anni di un braccialetto elettronico per sorvegliare a distanza il partner violento. Un dispositivo, quest’ultimo, che trae ispirazione dalla Spagna, dove è stato lanciato gia’ da alcuni anni dal governo socialista di José Luis Rodriguez Zapatero.

Secondo dati ufficiali, nel solo 2008 sono morte in Francia 156 donne a causa delle botte dei loro congiunti. Delle nuove disposizioni di legge potranno anche beneficiare gli immigrati sans-papiers.

ATS 29 giugno 2010

Francia: approvata la legge contro la violenza sulle donne

Il Parlamento licenzia in via definitiva il provvedimento bipartisan che crea uno status di protezione a favore delle donne coinvolte in episodi di maltrattamenti tra le mura di casa. E’ polemica sui termini del provvedimento.

L’iter legislativo è finito: l‘Assemblée Nationale ha promulgato il disegno di legge bipartisan sulle violenze domestiche. Ora in Francia le donne molestate potranno giovarsi di una “ordinanza di protezione” d’urgenza emanata dal giudice; mediante questo provvedimento si potrà organizzare l’espulsione del molestatore dal nucleo familiare, o la riallocazione della donna se essa preferisse trasferirsi. In ogni caso, “il fatto di molestare ripetutamente il proprio coniuge mediante aggressioni ripetute”, comporterà illecito penale punibile con 5 anni di prigione e 75000 euro di ammenda.

BIPARTISAN – Una legge bipartisan promossa dall’UMP, il partito di maggioranza, e dal PS, i socialisti all’opposizione. Per il ministro della Famiglia Nadine Morano questo è “un giorno storico, perchè il parlamento ha messo da parte le lotte partigiane davanti all’urgenza della violenza alle donne”. Le misure adottate includono inoltre l’inizio della sperimentazione sul bracciale elettronico antiviolenza alle donne, e l’istituzione di una giornata nazionale di sensibilizzazione sul tema. La Francia affronta così l’emergenza violenze domestiche, con 156 donne morte nel solo 2008 e il 20% degli omicidi totali d’oltralpe commessi fra le mura domestiche.

QUESTIONE DI GENERE – La legge si riferisce ad ogni tipo di unione ammessa in Francia, dal matrimonio ai PACS. Il parlamento ha però cambiato l’intestazione del testo, modificandolo in “proposta di legge relativa alle violenze fatte specificatamente contro le donne, alle violenze nel seno delle coppie e all’incidenza di queste ultime sui bambini”, in questo modo ricomprendendo nelle fattispecie punite anche l’ipotesi di violenza contro gli uomini. E a qualcuno la cosa non è piaciuta: “non è stata rispettata la nostra intenzione di farne una battaglia di genere”, ha detto Danielle Bousquet, coautrice socialista della legge, “poichè in nove casi su dieci è la donna a subire violenze, all’interno della coppia”.

29 giugno 2010 GIORNALETTISMO

Torino, Uccide la moglie a coltellate:l’associazione pro padri lo giustifica

di Roberta Lerici

Ecco l’incredibile commento all’omicidio di Torino, avvenuto nella sede dei servizi sociali, dove un poliziotto ha sferrato alla moglie una trentina di coltellate davanti all’assistente sociale. Sul sito “genitori sottratti”, in pratica, si giustifica l’omicidio, a cui l’uomo sarebbe arrivato per esasperazione, ovvero la moglie sarebbe in realtà responsabile del gesto dell’uomo, che non va liquidato come un semplice omicidio, secondo l’associazione, perchè “occorre capire il dramma di questo uomo e comprendere perchè sia stato costretto ad agire in questo modo estremo, capire perchè abbia perso la pazienza“.

In realtà su Il messaggero leggiamo, “L’uomo, programmatore informatico che era seguito anche dai servizi psichiatrici del consorzio, accusava la moglie di avere “montato” le figlie contro i nonni paterni, dove avrebbe voluto sistemarle quando sarebbe toccato a lui accudirle“.  Non conosco il caso, e da ciò che si scrive non dovrebbe conoscerlo neppure l’associazione in questione, che però ha già deciso che l’uomo “va capito”. Inutile sottolineare la gravità di simili affermazioni ma dobbiamo constatare che ormai troppo spesso la giusta battaglia per i diritti dei padri, si trasforma in realtà in una guerra alle donne, che raggiunge nei casi più estremi anche l’istigazione alla violenza.

In questo articolo non c’è una sola parola di compassione per una donna che, volenti o nolenti, è morta.Non c’è una critica alla gestione che è stata fatta della separazione di questa coppia in cui, certamente, qualche segnale di squilibrio l’uomo doveva aver già dato se è vero che da due anni era seguito dai servizi psichiatrici.

In genere non si arriva a commettere un gesto di tale violenza senza dare segnali e dovremmo quindi chiederci come mai nessuno se ne sia mai accorto, oppure se si sarebbe potuto fare qualcosa per prevenirlo.

Invito, quindi, chi si batte per i diritti dei padri a condannare il contenuto di questo articolo, come dovrebbero fare tutte le persone civili. L’odio non ha mai portato a nulla e, soprattutto, in casi come questi, la “difesa di genere ” rischia di far perdere credibilità alle tante associazioni nate allo scopo di tutelare i diritti dei padri. Tra questi diritti, però, non credo sia compreso l’omicidio.

Ed ecco l’articolo trovato sul sito dell’associazione: “Genitori sottratti” 

Poliziotto uccide la moglie, a Torino Torino, 11 mag. (Adnkronos) – -Ha accoltellato la moglie davanti a un’assistente sociale sferrandole, a quanto pare, una trentina di coltellate. E’ accaduto questa mattina a Collegno (Torino) e i carabinieri hanno gia’ arrestato l’autore del delitto. L’episodio e’ accaduto al Cisap, il Consorzio intercomunale servizi alla persona dove la coppia si era recata per discutere di alcuni problemi famigliari. Improvvisamente l’uomo ha estratto un coltello e ha iniziato a colpire la moglie. Per la donna non c’e’ stato nulla da fare. Immediatamente e’ scattato l’allarme e i carabinieri sono intervenuti riuscendo a bloccare l’omicida-

La discussione si è inasprita per via dell’affido delle due bambine, Ora, noi ci immaginiamo un ipotetico dialogo, disarmente e squallido, comune a migliaia di altri incredibili ed avvilenti dialoghi tutti uguali e vediamo l’assistente sociale difendere la parte debole di default: la madre, e raccontare all’uomo gli “spazi” in cui avrebbe dovuto ridurre le sue pretese e la sua genitorialità, ci immaginiamo e temiamo che proprio questo dialogo sia stato determinante per scatenare l’episodio-violento, questa “compressione” e successivo “annichilimento” che non sempre vengono accettati e sopportati senza battere ciglio, anche se migliaia di padri tacciono e masticano bile e muoiono “dentro”, per tutta la vita, padri senza la pistola, mentre altri, come il poliziotto in causa, ci immaginiamo, abbia scelto di agire un gesto estremo, trascinando nella morte l’altro genitore e le sue , ci immaginiamo, assurde richieste di esclusività.

Un servitore dello stato, uno che, con grande probabilità chissà quante volte sarà stato chiamato a dissipare liti fra coniugi riguardanti situazioni come quella in cui si è trovato stavolta lui stesso. Poprio lui, ci immaginiamo che probabilmente già sapeva come vanno a finire per un padre queste cose. Ci immaginiamo i servizi sociali e la donna nell’atto di “tirare la corda al massimo” e sempre di conseguenza ci immaginiamo i germogli del dramma scoppiare in una situazione assai fertile.

Ed ecco balzare alla cronaca un fenomeno che non si può aggiudicare semplicemente a perdita di lucidità , occorre capire il dramma di questo uomo e comprendere perchè sia stato costretto ad agire in questo modo estremo, capire perchè abbia perso la pazienza, e comprendere l’habitat in cui il dramma stava crescendo, definire questa situazione prima di gridare banalmente all’assassinio, perchè sappiamo bene che queste forme di pazzia lucida, raramente hanno retroscena patologici, spesso sono indotte da situazioni di estremo stress o da comportamenti vessatori. Ci chiediamo se questo uomo verrà spedito all’ospedale psichiatrico per un tentativo di recupero come accade per l’80 percento delle madri assassine o, se una volta in cella, butteranno via le chiavi come accade al 90 percento degli uomini, un per l’altro.

E poichè ci immaginiamo… staremo a vedere gli sviluppi. Un pensiero va alle bambine, le piccole vittime di un circo famigliare simile a tantissimi altri, infiniti che continueranno a vedersi anche in futuro grazie alla “garanzia” di un clima che ha tutte le premesse per riproporsi sempre più frequentemente. La redazione “Non mi faceva vedere le mie figlie”. E’ la frase che ha ripetuto ossessivamente durante l’interrogatorio dai carabinieri dopo l’arresto http://www.genitorisottratti.it/2010/05/poliziotto-uccide-la-moglie-tori…

http://www.bambinicoraggiosi.com/?q=node/1984

CHIEDE AIUTO E LE TOLGONO I FIGLI!

DI ROBERTA LERICI

Un altro caso incredibile, in cui abbiamo una donna maltrattata dal marito che alla fine riesce a denunciarlo.Il marito viene condannato e la donna va a vivere con i due figli in una struttura protetta. A un certo punto, però, le dicono che la figlia adolescente ha dei problemi che lei non riesce a gestire e la figlia finisce in una struttura protetta. Il fratello più piccolo, invece, viene dato in affido il giorno che la madre si presenta in ritardo ad un incontro protetto.

Hanno separato due fratelli, hanno privato una madre già piuttosto provata dalla vita, dei suoi affetti più cari e tutto questo perchè? Perchè lei da sola non ce la faceva? E per aiutarla le vengono tolti i figli? Quanto costano un minore in una comunità e un altro in affido? La prima dai 100 ai 400 euro al giorno, il secondo almeno 2000 euro l’anno a seconda della regione. Non sarebbe stato meglio dare a questa signora un aiuto economico? Io non conosco la storia nei dettagli, ma da quanto si evince, la violenza delle istituzioni nel caso specifico è palese. Violenta e ingiusta, è la giustizia minorile perchè troppo discrezionale. Ognuno ha il potere di fare ciò che vuole della vita degli altri. Bisogna porre fine a questo scempio.

http://www.bambinicoraggiosi.com/

Primo rapporto ufficiale Regione Toscana su violenza maschile

Primo_Rapporto_sulla_violenza_di_genere_in_Toscana

Il Senatore Stefano Pedica IDV incontra Presidente Tribunale dei Minori Roma

I nostri complimenti per la sensibilità del Sen. Pedica su minori e giustizia.

(ASCA) – Roma, 28 apr – ”Il Tribunale dei minori di Roma sta applicando una giustizia punitiva nei confronti dei bambini che vengono strappati dal genitore che lo ha in affido e relegati in case famiglia, non perche’ esistano problemi patrimoniali o violenze verso il minore ma solo perche’ il minore si rifiuta di vedere l’altro genitore con cui non ha mai avuto un rapporto affettivo”. Lo afferma il Senatore dell’Italia dei Valori, Stefano Pedica, che alle 12 incontrera’ il Presidente del Tribunale dei Minori di Roma per discutere del caso del minore di Sezze, Latina, sottratto alla madre, e dell’applicazione della legge sull’affido condiviso.

”Presentero’ al Presidente un dossier con numerosi casi di malagiustizia, nei quali per dare due genitori al bambino di fatto lo si rende ”orfano” di entrambi – spiega Pedica – . Questo non puo’ accadere e chiedero’ anche al Ministro Alfano se non sia il caso di inviare ispettori al Tribunale per verificare se ai minori siano garantiti il diritto all’ascolto e ad una integrita’ psico-fisica.

Non dobbiamo confondere casi di maltrattamenti o sfruttamento di minori, che necessitano di interventi radicali come l’allontanamento, con le conflittualita’ che sorgono nelle separazioni dove serve invece in percorso di ascolto”.

Lettera aperta dell’Ass. Giuristi Democratici alla Ministra Carfagna

Alla Ministra per le Pari Opportunità Mara Carfagna
Considerazioni in merito alle dichiarazioni rilasciate dalla Ministra sulla violenza degli uomini contro le donne.
Associazione Nazionale Giuristi Democratici
La violenza e le discriminazioni compiute dagli uomini ai danni delle donne, siano esse di tipo fisico, psicologico o economico, aldilà del contesto in cui vengono compiute, non rappresentano mai una “trasformazione” della realtà, un evento eccezionale, una “anomalia” connessa a qualità personali del singolo uomo che le compie, ma, come espresso nel Preambolo della Convenzione per l’Eliminazione di ogni forma di discriminazione contro la donna (CEDAW), sono la “manifestazione di un potere relazionale storicamente diseguale tra uomini e donne…uno dei principali meccanismi sociali attraverso i quali le donne sono costrette ad occupare una posizione subordinata rispetto agli uomini.”

Il contesto famigliare è il luogo privilegiato di espressione della disparità di potere nella relazione tra coniugi: perché inevitabilmente il duplice ruolo che la donna in questo contesto è chiamata a ricoprire di moglie e madre la rende soggetta ad una serie di “aspettative” da parte del coniuge e della società stessa, che la vedono ancorata ad un ruolo primariamente di cura e riproduttivo, di servizio, e non, come dalla Ministra affermato, di realizzazione.
Infatti, statistiche, indagini criminologiche e studi psicologici di levatura internazionale sono concordi nell’affermare che la violenza dell’uomo in seno alla famiglia si scatena proprio nel momento in cui la donna sceglie di abbandonare il proprio ruolo di moglie e madre o “interpretarlo liberamente”, cercando di esprimere le proprie qualità anche come cittadina e donna, dunque come soggetto, prima ancora che come oggetto di “funzioni” legate al suo ruolo.
E’ in questo momento che l’uomo si sente legittimato, imponendo la propria forza fisica, il proprio potere economico, il bene “superiore” della famiglia, a dissuadere la donna dalla possibilità di scegliere come costruire la propria vita, a sminuire la scelta di autonomia della donna come scelta debole, a cercare di tenerla al suo servizio con tutti i mezzi possibili, dalla minaccia allo stupro, alla violenza sui figli.

Perché deve sapere, Ministra, che alto è il tasso di violenze da parte degli ex coniugi ai danni di donne e figli in casi di affido condiviso, non perché questa sia occasione di scontro sui figli, ma perché l’affido condiviso viene sovente concesso anche quando già erano state avanzate da parte della donna precedenti denunce penali al marito per percosse, minacce, maltrattamenti.
L’incapacità di valutare la pervasività della violenza dell’uomo in famiglia, che non solo si rivolge contro la donna, ma anche è violenza assistita per i figli che indirettamente la subiscono, porta a concedere l’affidamento congiunto anche in questi casi, consentendo all’uomo violento di continuare a trovare spazi per distruggere fisicamente e psicologicamente le persone, donna e figli, che hanno deciso di sottrarsi dalla sua potestà.

A fronte della gravità e della pervasività della discriminazione e della violenza degli uomini ai danni delle donne italiane, pare una ulteriore ed inaudita violenza istituzionale non solo la scelta di non assegnare un Portafoglio al Ministero delle Pari Opportunità per consentirLe di poter effettivamente intervenire a supporto dei centri antiviolenza e rendere concrete le politiche di supporto alla fuoriuscita delle donne da situazioni di criticità, ma anche la scelta di tagliare quei già pochi fondi stanziati a tal fine, che ancora una volta, da un Governo preminentemente composto di uomini, viene distratto alle politiche delle pari opportunità a favore di altri e del tutto diversi ambiti (abolizione ICI prima casa, quella in cui i coniugi possidenti e maggiormente remunerati rispetto alle proprie consorti potranno continuare ad esercitare agevolmente su di loro violenze e pressioni economiche e psicologiche).

Molte altre sarebbero le osservazioni su cui soffermarsi, ma, per brevità, pare opportuno in questa sede portare a Sua conoscenza e fare rimando alle Raccomandazioni che il Comitato per l’applicazione della Convenzione per l’Eliminazione di ogni forma di discriminazione contro la donna (CEDAW) ha, in più riprese, rivolto al nostro Stato, e che sempre sono state ignorate ed occultate, al punto da doversi una associazione come la nostra addossare l’onere di tradurle e diffonderle.

Le alleghiamo alla presente, nella speranza voglia fare di tali Raccomandazioni fulcro centrale di indirizzo delle azioni che porrà in essere, che sempre dovranno essere rivolte alla promozione della donna in quanto soggetto, per rendere concreto il godimento dei loro diritti fondamentali.

Associazione Nazionale Giuristi Democratici
Gruppo di studio Generi e Famiglie

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CEDAW/C/ITA/CC/4-5
15 Febbraio 2005
Traduzione dall’originale in lingua inglese *1
*0523853*

Comitato per l’Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne.

Trentaduesima sessione
10-28 Gennaio 2005

Temi di principale preoccupazione per il Comitato e raccomandazioni

15. Il Comitato fa notare l’obbligo dello Stato membro di attuare sistematicamente ed implementare costantemente tutte le misure della Convenzione. Al contempo, il Comitato ritiene che le preoccupazioni e raccomandazioni identificate nei presenti commenti conclusivi richiedano da parte dello Stato Membro un’attenzione prioritaria a partire da ora fino alla presentazione del prossimo rapporto periodico. Di conseguenza, il Comitato invita lo Stato membro a concentrarsi su questi temi nella sua attività di attuazione e di riferire sulle azioni intraprese e sui risultati ottenuti nel suo prossimo rapporto periodico. Invita altresì lo Stato membro a presentare i presenti commenti conclusivi a tutti i ministeri interessati e al Parlamento in modo da garantire la loro piena attuazione.
16. Il Comitato ritiene che lo Stato membro abbia preso misure inadeguate per attuare le raccomandazioni riguardo a varie preoccupazioni sollevate nei precedenti commenti conclusivi del Comitato adottati nel 1997. In particolare, il Comitato trova che le sue osservazioni sulla bassa partecipazione delle donne nella vita pubblica e politica (paragrafo 355), e la mancanza di programmi per combattere gli stereotipi attraverso il sistema scolastico e per incoraggiare gli uomini a prendersi le loro responsabilità e condividere i lavori domestici, siano state affrontate in maniera del tutto inadeguata.
17. Il Comitato ripropone tali temi fonte di preoccupazione e già oggetto di raccomandazioni, e sollecita con forza lo Stato membro a procedere senza ritardi alla loro attuazione.
18. Il Comitato esprime il proprio disappunto sul fatto che mentre l’emendamento all’art. 51 della Costituzione prevede le pari opportunità per uomini e donne, non vi è una definizione di discriminazione contro le donne, in base all’art. 1 *2 della Convenzione, né nella Costituzione né nella legislazione, a parte che in materia di occupazione. Il Comitato è preoccupato dal fatto che la mancata previsione di tale specifica disposizione possa contribuire a far ritenere di limitata applicazione il concetto di parità sostanziale, come evidente nello Stato membro, anche tra i pubblici funzionari e la magistratura.
19. Il Comitato suggerisce che sia inclusa nella Costituzione o in leggi appropriate una definizione di discriminazione contro le donne in linea con l’art. 1 della Convenzione. Raccomanda anche l’attuazione di campagne di sensibilizzazione, affinché sorga non solo nell’opinione pubblica, ma soprattutto tra i funzionari pubblici, la magistratura e l’avvocatura, una maggiore consapevolezza circa l’esistenza ed il contenuto della Convenzione e gli obblighi dello Stato Membro in base alla Convenzione, e circa il significato e la portata della discriminazione contro le donne.
20. Pur riconoscendo gli sforzi dello Stato membro per apportare una prospettiva di genere in tutti i campi, il Comitato è preoccupato dell’assenza di meccanismi nazionali specifici per consentire l’avanzamento delle donne. Esso teme che, il fatto che l’operato del Ministero delle Pari Opportunità copra un certo numero di temi sulla la discriminazione, ciò possa portare all’attribuzione di una bassa priorità e alla scarsa attenzione alla natura specifica della discriminazione contro le donne ed alla sua importanza in tutti i campi dove essa è vietata. E’ anche preoccupato della erosione significativa dei poteri e delle funzioni della Commissione Nazionale per la Parità e per le Pari Opportunità.
21. Il Comitato suggerisce che lo Stato membro ponga in essere una struttura istituzionale che riconosca la specificità della discriminazione delle donne e che sia l’unica responsabile del progresso delle donne e del monitoraggio della realizzazione pratica del principio di parità sostanziale di uomini e donne nel godimento dei diritti umani. Al fine di ottenere ciò, il Comitato raccomanda il rafforzamento di una istituzione nazionale che monitori e renda effettivo il godimento da parte delle donne dei loro diritti umani in tutti i campi.
22. Il Comitato teme che la divisione su vari livelli dell’ autorità e delle competenze nello Stato membro possa generare difficoltà riguardo all’attuazione della Convenzione in tutto il Paese. Notando la piena responsabilità dei Governi nazionali negli Stati decentralizzati e federali nell’assicurare l’attuazione di obblighi internazionali da parte delle regioni, il Comitato si preoccupa dell’assenza di strutture nazionali appropriate, in grado di assicurare l’attuazione della Convenzione da parte di autorità e istituzioni regionali e locali.
23. Il Comitato raccomanda allo Stato membro di promuovere una uniformità legislativa e omogeneità di risultati nella attuazione della Convenzione in tutto il Paese, attraverso un coordinamento effettivo e la creazione di meccanismi per assicurare la piena attuazione della Convenzione da parte di tutte le autorità e istituzioni regionali e locali.
24. Permane la preoccupazione del Comitato sulla persistenza e pervasività dell’atteggiamento patriarcale e sul profondo radicamento di stereotipi inerenti i ruoli e le responsabilità delle donne e degli uomini nella famiglia e nella società. Questi stereotipi minano alla base la condizione sociale delle donne, costituiscono un impedimento significativo alla attuazione della Convenzione, e sono all’origine della posizione di svantaggio occupata dalle donne in vari settori, compreso il mercato del lavoro e la vita politica e pubblica. Il Comitato è profondamente preoccupato anche dalla rappresentazione che viene data delle donne da parte dei mass media e della pubblicità, per il fatto che viene ritratta come oggetto sessuale e in ruoli stereotipati.
25. Il Comitato chiama lo Stato membro ad adottare un programma su larga scala, onnicomprensivo e coordinato, per combattere la diffusa accettazione di ruoli stereotipati di uomini e donne, incluse campagne di sensibilizzazione ed educative rivolte a donne e uomini, per cercare di favorire l’eliminazione di stereotipi associati ai ruoli tradizionali di uomini e donne nella famiglia e nella società in senso lato, in conformità con gli articoli 2(f) *3 e 5(a)*4 della Convenzione. Raccomanda che lo Stato membro faccia ogni sforzo per diffondere informazioni sulla Convenzione, sia tra gli attori pubblici che privati, al fine di accrescere la sensibilizzazione e la comprensione del significato e del contenuto del concetto di uguaglianza sostanziale delle donne. Raccomanda inoltre che i mass media e le agenzie pubblicitarie siano indotte ed incoraggiate a proiettare un’immagine delle donne come partner alla pari in tutte gli ambiti della vita e che ci si sforzi andando verso la stessa direzione, al fine di modificare la percezione delle donne come oggetti sessuali, e come responsabili in via principale della crescita dei figli.
26. Pur apprezzando il maggior numero di donne italiane al Parlamento Europeo, il Comitato rimane profondamente preoccupato per la grave sotto-rappresentanza delle donne nelle cariche politiche e pubbliche, compresi gli enti elettivi, la magistratura, e a livello internazionale. Il Comitato mostra in particolare il proprio rammarico e la propria preoccupazione per il fatto che la partecipazione politica delle donne a livello nazionale sia diminuita negli ultimi anni e rimane tra le più basse in Europa.
27. Il Comitato incoraggia lo Stato membro a intraprendere misure consistenti per incrementare la rappresentanza delle donne nelle cariche elettive, nell’assegnazione di incarichi istituzionali, nella magistratura e a livello internazionale. Raccomanda che lo Stato membro introduca misure appropriate, incluse misure speciali temporanee in conformità all’art. 4, par. 1 , della Convenzione e alla raccomandazione generale 25 del Comitato, al fine di aumentare il numero di donne elette o che ricoprono pubblici incarichi. Incoraggia ulteriormente lo Stato Membro a velocizzare gli sforzi per l’approvazione della legge in base all’art. 51 della Costituzione per aumentare il numero di donne aventi cariche politiche e pubbliche, anche attraverso l’utilizzo delle quote, e di assicurare un’adeguata rappresentanza in tali cariche di donne ROM ed immigrate, e di donne dal Meridione. Il Comitato raccomanda che lo Stato membro effettui delle campagne di sensibilizzazione tra uomini e donne sull’importanza della partecipazione delle donne alla vita politica e pubblica e ai processi decisionali, e che si impegni a per creare condizioni che rendono possibile, incoraggino e supportino tale partecipazione.
28. Pur notando un netto aumento del tasso di occupazione tra le donne, il Comitato si preoccupa dei gravi svantaggi che le donne devono affrontare nel mercato del lavoro, tra le quali la sotto-rappresentazione delle donne in posizioni di rilievo, la maggior presenza di donne in alcuni settori sottopagati e nel lavoro part-time, il significativo divario salariale tra uomini e donne e la mancanza di attuazione del principio di parità salariale per uguali mansioni e carichi di lavoro. Pur notando che la legge 53/2000 riconosce il diritto di entrambi i genitori ad usufruire di un congedo dal lavoro per accudire un figlio nella prima infanzia, il Comitato teme che solo una percentuale molto piccola di uomini si avvantaggerà di tale opportunità.
29. Il Comitato sollecita lo Stato membro ad accelerare ed assicurare pari opportunità per uomini e donne nel mercato del lavoro, attraverso, tra l’altro, misure speciali temporanee in conformità all’art. 4, par. 1 della Convenzione e alla raccomandazione generale 25 del Comitato, e altresì sollecita ad assicurare una pari retribuzione per lavoro di pari valore. Raccomanda inoltre che lo Stato Membro estenda in toto le indennità di previdenza sociale ai lavoratori part-time, che sono perlopiù donne, e intraprenda misure per eliminare la segregazione lavorativa, in particolare attraverso l’istruzione e la formazione. Inoltre il Comitato sollecita lo Stato membro a fornire maggiore accesso all’impiego a tempo pieno (full-time)per le donne, e a migliorare la disponibilità di strutture infantili accessibili economicamente, e ad incoraggiare gli uomini, anche attraverso campagne di sensibilizzazione, ad assumersi pari responsabilità nella cure dei figli.
30. Il Comitato, pur tenendo in considerazione le riforme legislative in materia di violenza contro le donne, è preoccupato per la persistenza della violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, e per l’assenza di una strategia globale per combattere tutte le forme di violenza contro le donne. Pur riconoscendo gli sforzi fatti dallo Stato membro per combattere la tratta di donne, il Comitato si preoccupa tuttavia dell’impatto su tali politiche della legge 189/2002 (legge “Bossi-Fini”), che concede potere discrezionale alle autorità locali di porre in essere restrizioni anche per le vittime di tratta e di permessi di emettere o meno il permesso di soggiorno.
31. Il Comitato sollecita lo Stato Membro ad accordare un’attenzione prioritaria all’adozione di misure onnicomprensive per affrontare la violenza contro le donne e le bambine in conformità alla relativa raccomandazione generale 19 sulla violenza contro le donne. Il Comitato sottolinea la necessità di attuare appieno e monitorare l’efficacia delle leggi sulla violenza sessuale e domestica, di fornire centri d’accoglienza, servizi di protezione e consultori per le vittime, punire e riabilitare i colpevoli, e provvedere alla formazione e sensibilizzazione dei pubblici funzionari, della magistratura e del pubblico. Il Comitato incoraggia altresì lo Stato Membro a ripensare la legge 189/2002, attraverso modifiche volte ad assicurare che tutte le vittime di tratta beneficino dei permessi di soggiorno per motivi di protezione sociale.
32. Il Comitato esprime il proprio rammarico per il fatto che il rapporto contenga dati e informazioni insufficienti sull’impatto delle politiche sanitarie sulle donne, in particolar modo rispetto all’impatto della privatizzazione della sanità sulla salute femminile, e rispetto all’efficacia delle iniziative intraprese per ridurre i parti cesarei e per la prevenzione del cancro. Il Comitato è preoccupato della mancanza di dati e di informazioni analitiche sull’assistenza alle donne anziane e sull’assistenza sanitaria disponibile per le donne nel Sud del Paese.
33. Il Comitato richiede allo Stato membro di monitorare l’impatto delle proprie politiche sanitarie sulle donne, compreso il Piano Sanitario Nazionale, e di fornire nel suo prossimo rapporto informazioni statistiche ed analisi dettagliate sulle misure adottate per migliorare la salute delle donne, compreso l’impatto di tali misure, in conformità con la raccomandazione generale 24 del Comitato sulle donne e la salute. Il Comitato richiede inoltre allo Stato membro di fornire informazioni sull’assistenza alle donne anziane, sulle politiche sanitarie in atto per le donne del Sud e sulle politiche di prevenzione della trasmissione dell’AIDS tra adulti, compreso l’impatto di dette misure.
34. Il Comitato è preoccupato del fatto che alcuni gruppi di donne, tra cui le ROM e le immigrate, si trovino costrette in una posizione vulnerabile ed emarginata, specialmente per quanto riguarda l’istruzione, l’impiego, la salute e la partecipazione alla vita pubblica e ai processi decisionali. Il Comitato è in particolar modo preoccupato dell’impatto della legge 189/2002, che impone ampie restrizioni alle donne immigrate lavoratrici, e teme per l’assenza di leggi e politiche atte a disciplinare lo status dei richiedenti asilo e dei rifugiati, in particolar modo per il mancato riconoscimento di forme di persecuzione correlate al genere quale motivazione possibile per l’ottenimento dello status di rifugiato.
35. Il Comitato sollecita lo Stato membro affinchè adotti misure concrete per l’eliminazione della discriminazione contro quei gruppi di donne maggiormente vulnerabili, tra cui le ROM e le immigrate, e affinché promuova il rispetto nei riguardi dei loro diritti umani con tutti i mezzi disponibili, comprese misure speciali temporanee in conformità all’art. 4, par. 1, della Convenzione e con la raccomandazione generale 25 del Comitato. Esso inoltre chiama lo Stato membro a fornire, nel suo prossimo rapporto periodico, un quadro globale della situazione in concreto delle donne ROM ed immigrate n per quanto riguarda il loro accesso all’istruzione, all’impiego, alla salute e alla partecipazione nella vita politica e pubblica. Il Comitato inoltre chiama lo Stato membro a riconsiderare le misure adottate con la legge 189/2002, per rimuovere le restrizioni che attualmente gravano sulle donne immigrate, e ad adottare leggi ed a promuovere politiche atte a riconoscere l’esistenza di forme di persecuzione correlate al genere quale motivo per il quale sia possibile accedere allo status di rifugiato.
36. Il Comitato richiede allo Stato membro di rispondere in merito alle preoccupazioni espresse nei presenti commenti conclusivi nel suo prossimo rapporto periodico che, sulla base dell’art. 18 della Convenzione, è da presentarsi nel 2006.
37. Il Comitato richiede allo Stato membro di assicurare un’ampia partecipazione di tutti i ministeri ed enti pubblici nella fase preparatoria del suo prossimo rapporto, e di consultare le ONG. Esso incoraggia lo Stato membro a coinvolgere il Parlamento in una discussione del rapporto prima di sottoporlo al Comitato.
38. Tenendo conto delle dimensioni che le questioni di genere occupano nelle dichiarazioni, programmi e nelle piattaforme di azione adottate dalle relative conferenze, summit e sessioni speciali delle Nazioni Unite, così come nella sessione speciale dell’Assemblea Generale per la revisione e valutazione dell’attuazione del Programma di Azione della Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo (ventunesima sessione speciale), nella sessione speciale dell’Assemblea Generale sui bambini (ventisettesima sessione speciale), nella Conferenza Mondiale contro il razzismo, la Discriminazione Razziale, la Xenofobia e le Intolleranze correlate e e nella Seconda Assemblea Mondiale sull’Invecchiamento, il Comitato richiede allo Stato membro di includere nel suo prossimo rapporto periodico informazioni sull’attuazione degli aspetti di quei documenti correlati ai temi dei relativi articoli della Convenzione.
39. Il Comitato rileva l’adesione della maggior parte degli Stati membri ai sette maggiori strumenti internazionali per la tutela dei diritti umani, cioè il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (CESCR), il Patto Internazionale sui Diritti Politici e Civili (CCPR), la Convenzione Internazionale sull’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Razziale (CERD), la Convenzione sull’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne (CEDAW), la Convenzione contro la Tortura ed altri trattamenti o Punizioni Crudeli, Inumani, o Degradanti (CAT), la Convenzione sui Diritti del Bambino (CRC), la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti di Tutti i Lavoratori Immigrati e dei loro Familiari (MWC), che contribuisce a rafforzare il godimento da parte delle donne dei loro diritti umani e delle loro libertà fondamentali in tutti gli aspetti della vita. Di conseguenza, il Comitato incoraggia il Governo italiano a considerare la ratifica del trattato del quale non è ancora sottoscrittore, cioè la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti di Tutti i Lavoratori Immigrati e dei loro Familiari.
40. Il Comitato richiede un’ampia diffusione in Italia dei presenti commenti conclusivi al fine di rendere i cittadini, compresi i funzionari di governo, i politici, i parlamentari e le organizzazioni di donne e di diritti umani, consapevoli dei passi avanti che sono stati fatti per assicurare, di fatto e di diritto, la parità delle donne, nonché degli ulteriori passi necessari a tal proposito. Il Comitato richiede allo Stato membro di continuare a diffondere ampiamente, in particolare presso le organizzazioni di donne e di diritti umani, la Convenzione, il suo Protocollo Opzionale, le raccomandazioni generali del Comitato, la Dichiarazione e la Piattaforma di Azione di Pechino, e l’esito della 23a sessione speciale della Assemblea Generale, intitolata “Donne 2000: parità di genere, sviluppo e pace per il ventunesimo secolo”.

NOTE

1. Il testo originale è consultabile sul sito :

Fai clic per accedere a CEDAW-CC-ITA-0523853E.pdf

La traduzione in italiano è di Barbara Spinelli

2. Ai fini della presente Convenzione, l’espressione “discriminazione contro le donne” sta ad indicare ogni distinzione o limitazione basata sul sesso, che abbia l’effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato matrimoniale e in condizioni di uguaglianza fra uomini e donne, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, culturale, civile, o in qualsiasi altro campo.

3. Articolo 2: Gli Stati parte condannano la discriminazione contro le donne in ogni sua forma, convengono di perseguire, con ogni mezzo appropriato e senza indugio, una politica tendente ad eliminare la discriminazione contro le donne, e, a questo scopo, si impegnano a:
a)iscrivere nella loro costituzione nazionale o in ogni altra disposizione legislativa appropriata, il principio dell’uguaglianza tra uomo e donna, se questo non è ancora stato fatto, e garantire per mezzo della legge, o con ogni altro mezzo appropriato, la realizzazione pratica di tale principio;
b)adottare appropriate misure legislative e di altra natura, comprese, se del caso, quelle di natura sanzionatoria, per proibire ogni discriminazione nei confronti delle donne;
c)instaurare una protezione giuridica dei diritti delle donne su un piede di parità con gli uomini al fine di garantire, attraverso i tribunali nazionali competenti ed altre istituzioni pubbliche, un’efficace protezione delle donne contro ogni atto discriminatorio;
d)astenersi da qualsiasi atto o pratica discriminatoria contro le donne e garantire che le autorità e le istituzioni pubbliche agiscano in conformità con tale obbligo;
f)prendere ogni misura adeguata per eliminare la discriminazione contro le donne da parte di qualsivoglia persona, organizzazione o impresa;
g)prendere ogni misura adeguata, comprese le disposizioni di legge, per modificare o abrogare ogni legge, regolamento, consuetudine e pratica che costituisca discriminazione contro le donne;
h)abrogare dalla normativa nazionale tutte le disposizioni penali che costituiscono discriminazione contro le donne.

4. Articolo 5:Gli Stati parte devono prendere ogni misura adeguata per:
a)modificare gli schemi ed i modelli di comportamento sociali e culturali degli uomini e delle donne, al fine di ottenere l’eliminazione dei pregiudizi e delle pratiche consuetudinarie o di altro genere, basate
sulla convinzione dell’inferiorità o della superiorità dell’uno o dell’altro sesso, o sull’idea dei ruoli stereotipati degli uomini e delle donne,
b) far sì che nell’educazione familiare sia integrata una comprensione del ruolo sociale della maternità ed il riconoscimento della responsabilità comune di uomini e donne nell’allevamento e nella crescita dei figli, restando inteso che l’interesse dei figli è in ogni caso la considerazione principale.

(3 giugno 2008)

IIl Gulotta-pensiero su pedofilia

PARAGRAFO TRATTO DA: Minorigiustizia n.2 / 2007 “Il negazionismo dell’abuso sui bambini, l’ascolto non suggestivo e la diagnosi possibile”

DI CLAUDIO FOTI

15. La negazione del danno

Alcuni intellettuali, appartenenti a diverse aree politico-culturali, in saggi, interviste, talk-show, giungono a convergere apertamente con tesi care alla letteratura pedofila, proponendo, globalmente o parzialmente, le

a) non è accertato clinicamente il danno indotto in un bambino prepubere dall’attivazione del suo sistema sessuale nel rapporto con un adulto;

b) non c’è nessun danno ipotizzabile da un coinvolgimento sessuale di un minore che ha raggiunto la pubertà, soprattutto se quest’ultimo è consenziente o addirittura richiedente la prestazione sessuale;

c) esistono di conseguenza forme di pedofilia che non devono essere criminalizzate, se dotate di qualità (“gentile”, “altruista” o “ad iniziativa del minore”) che non risulterebbero nocive per il minore coinvolto.

Gulotta per esempio sostiene, in contrapposizione alla Dichiarazione di consenso del Cismai in materia di abuso sessuale all’infanzia, che non si può affatto affermare che l’abuso sessuale debba essere sempre e comunque un attacco confusivo e destrutturante alla personalità del minore. Egli cita a sostegno della sua posizione una ricerca antropologica :
“I bambini maschi della tribù Sambia della Nuova Guinea, dall’età di sette anni fino alla pubertà, effettuano delle fellatio ai maschi adulti, senza tuttavia mostrare segni di trauma psicologico o di comportamento sessuale aberrante quale risultato della loro esperienza infantile. Poiché per i Sambia la ingestione dello sperma è ritenuto come il solo fattore di maturazione della maschilità, l’atto non viene interpretato come sessualmente abusivo da questo gruppo culturale”.

Altrove ho discusso criticamente questa posizione. Qui vale la pena sottolineare che le riflessioni e le domande che questi autori pongono sollecitano ad un impegno rigoroso di chiarificazione, senza il quale rischia di abbassarsi ulteriormente la soglia di vigilanza sociale e giudiziaria nei confronti dei comportamenti pedofili.

(…..)dal blog di Roberta Lerici

Voi affidereste un bambino all’uomo che lo ha molestato?

E’ abbastanza frequente leggere di stupri e violenze sulle donne fuori dal contesto familiare. Sappiamo invece che la maggior parte delle violenze maschili sulle donne vengono commesse in famiglia o comunque da uomini vicini alle vittime.

Sappiamo tutto dei processi di stupro, sappiamo come vengono trattate le vittime e come vengono difesi e spesso assolti gli stupratori.

Sappiamo poco di quello che avviene nelle aule dei tribunali quando si parla di violenza “domestica”. Noi ci stiamo occupando anche di questo e più ce ne occupiamo più ci rendiamo conto di quanto le donne siano schiacciate da complicità e gravissime situazioni di omertà che le riducono esattamente allo stesso punto in cui erano nel secolo scorso.

Non siamo monotematiche. E’ una delle questioni di cui BISOGNA occuparsi. Parlare di tante donne morte ammazzate dai mariti senza entrare nel merito dei motivi che portano a questo e delle complicità esistenti che sono concausa di queste orribili conclusioni è come non parlarne affatto.

Una donna che denuncia un marito per violenza per prima cosa viene querelata per calunnia, poi viene denunciata perchè condizionerebbe il figlio a non relazionarsi con il padre, poi la insultano dicendole che è pazza e poi le tolgono il bambino. Questo accade negli ultimi anni nelle aule dei tribunali.

Quando parliamo della legge sull’affido condiviso [1] [2] [3] [4] stiamo parlando esattamente di questo.

Giusto ieri abbiamo letto dell’ennesimo caso di femminicidio. Un italiano, medico, ha tentato di uccidere sua moglie perchè non voleva separarsi. Non c’è riuscito ma ha fatto tutto questo davanti ai bambini. Secondo la legge sull’affido condiviso questo genere di questioni sarebbero classificate come “beghe coniugali” che non riguarderebbero il rapporto genitoriale. Se quei bambini che hanno assistito alla scena mostrano giustificabile orrore e ritrosia nell’avere un rapporto con il padre secondo la legge sull’affido condiviso potrebbero essere periziati e diagnosticati come affetti dalla [falsa] sindrome di alienazione genitoriale. Sarebbe dunque “legale” che l’uomo che ha tentato di uccidere la loro madre ottenga l’affido di quei bambini e ottenga anche di accedere agli ambienti, agli spazi, della moglie che ha tentato di uccidere.

Voi affidereste un bambino ad un uomo che ha picchiato o tentato di uccidere la loro madre?

La stessa cosa accade sui casi di pedofilia. I bambini che subiscono “violenza domestica” dai loro padri vengono insultati e tacciati come bugiardi. Si fa sottilmente, ambiguamente, dicendo che non è certo colpa loro ma sarebbe colpa della madre che li ha indotti a ritenere che quel padre è un uomo per loro pericoloso.

Voi affidereste un bambino ad un uomo che lo ha molestato?

Non sono domande difficili. Basta solo concentrarsi un attimo. Solo chi è in malafede può essere in disaccordo.

fonte: femminismo a sud